ESSERE IN CONTATTO
Un corpo “intelligente”: il nostro superpotere
Perché non solo è utile, ma è vincente fidarci dell’intelligenza del nostro corpo.
Quest’estate ho letto L’intelligenza del corpo. Che cosa sa il nostro corpo che noi non sappiamo di Simon Roberts. Mi ha colpito molto il fatto che l’autore è un antropologo di fama mondiale e al contempo un consulente di alcune delle più grandi company globali come Intel, Facebook e Google. Mi è sembrato quindi che gli argomenti trattati nel libro potessero avere a che fare con i temi che solitamente trattiamo nel contenitore del TOAST!
Ho costruito il mio intervento proprio intorno a questo libro. Provo a raccontarlo.
Chiedete a chiunque di indicare quale sia la parte del corpo a cui deve la sua intelligenza e con tutta probabilità vi indicherà la testa. È comprensibile: per secoli, dal “cogito ergo sum” di Cartesio all’era del computer, questo è ciò che ci è stato insegnato. Eppure, avete mai fatto fatica a ricordare il Pin del bancomat e lo avete recuperato simulandone la digitazione in aria? E non avete mai dimenticato come si va in bicicletta, vero? Abbiamo fatto tutti qualche esperienza che ci ha fatto capire come cervello e corpo insieme ci diano quella che consideriamo l’intelligenza esclusiva degli esseri umani. […]
L’intelligenza è una capacità che tutti abbiamo ed è quella che si occupa di risolvere i problemi. Questa capacità è relegata al cervello o c’è altro che non conosciamo? Il corpo ha un’intelligenza propria? In effetti sì, il corpo non è solo un esecutore di ciò che comanda il sistema centrale (ovvero il cervello). Questo concetto incoraggia a esplorare l’idea che il corpo abbia la stessa importanza del cervello nel contribuire alla nostra intelligenza, intesa come capacità che abbiamo di risolvere problemi che ci si presentano nella nostra esistenza.
In questo libro, unico nel suo genere, Simon Roberts, antropologo sociale e delle organizzazioni, esamina il ruolo centrale che ha il nostro corpo sul modo in cui apprendiamo e ci ricorda perché dobbiamo imparare ad ascoltarlo più spesso.
Per capire questo, dobbiamo indagare il concetto di embodiment, per cui è il corpo a definire la nostra relazione fondamentale con il mondo. Il nostro corpo sa fare “cose” senza doverci pensare, ovvero acquisisce competenze in modo autonomo dalla mente. Lo fa attraverso la percezione dell’ambiente in cui siamo e lo schema corporeo, un insieme di dati che il corpo acquisisce e di cui si serve quasi in modo inconsapevole. Con l’aiuto di queste due capacità, il corpo fa esperienza del mondo e ci permette, attraverso l’osservazione, l’esercizio, l’improvvisazione, l’empatia e la memoria di formarci una conoscenza incarnata.
La conoscenza incarnata è la conoscenza che ci permette di agire senza pensare.
Avete mai suonato il pianoforte senza dovervi concentrare nel ricordare le note giuste, o ascoltato le sensazioni “di pancia” mentre dovevate prendere una decisione importante? In questo libro esplorerete il ruolo del corpo nell’acquisire conoscenza e il potere stupefacente del “non pensare”. [Feltrinelli editore]
Come si declina e, soprattutto, cosa ce ne facciamo nella vita di tutti i giorni?
Possiamo sfruttare questa intelligenza del corpo per il business, dove oltre a studiare il mercato attraverso le statistiche, possiamo fidarci del corpo e di quello che ci aiuta a capire per conoscere meglio il prodotto, il target e le sue vere esigenze. Da qui le numerose esperienze di progettisti e manager, che per comprendere a fondo un prodotto vivono delle vere e proprie esperienze mettendosi nei panni di chi userà quello stesso prodotto quotidianamente. Un esempio del risultato di questo approccio è lo spot di Duracell.
Oppure, se ci mettiamo realmente “nei panni (o meglio, nel corpo)” degli altri possiamo comprendere meglio i problemi sociali e attivarci per cercare soluzioni. Questa è la politica incarnata. L’ONG Crossroads Foundation organizza delle esperienze molto particolari e sul suo sito c’è scritto:
Offriamo programmi esperienziali su guerra, HIV/AIDS, cecità, fame, accesso all’acqua, disuguaglianza nel commercio e la complessa gamma globale di problemi che tengono miliardi di persone in povertà. Molte persone trovano l’apprendimento esperienziale molto più potente della parola parlata o scritta. Oltre 200.000 partecipanti hanno intrapreso programmi esperienziali, con un interesse crescente. Tra i partecipanti ci sono studenti, team di aziende, gruppi comunitari, famiglie e singoli visitatori.
Non solo è utile, ma è vincente fidarci dell’intelligenza del nostro corpo. Quindi perché non sfruttare questo nostro “superpotere”, oltre che nella vita di tutti i giorni anche nelle sfide più grandi, nella società, nel lavoro, nelle questioni che riguardano il futuro dell’ambiente o dell’intelligenza artificiale?
È relativamente facile rendere un computer in grado di battere un essere umano a scacchi, per esempio, ma è incredibilmente difficile dotarlo di capacità percettive e motorie che gli esseri umani mostrano già a un anno di età.
È un fatto apparentemente controintuitivo ma noto da tempo a chi si occupa di intelligenza artificiale e robotica, conosciuto come “paradosso di Moravec”, dal nome del ricercatore e informatico che lo teorizzò negli anni Ottanta, Hans Moravec. Mentre molte delle abilità più difficili da acquisire per gli esseri umani sono piuttosto banali dal punto di vista ingegneristico, come per esempio la padronanza dell’aritmetica, il compito più difficile nella programmazione dei robot è renderli capaci di azioni che gli esseri umani trovano facilissime: perché sono parte della loro natura e basate su abilità perlopiù inconsce. [Il Post]
Per i computer, avere la capacità di spostarsi nello spazio è davvero funzionale, non è solo estetica (vedi i robot “cane” di Boston Dynamics). Non è un caso che i robot abbiano sempre più delle fattezze umane (o animali, a seconda): si cerca di dotarli di sensori che svolgano il ruolo di recettori per la propriocezione e non solo, per captare ciò che un robot con il solo computo aritmetico non potrebbe mai fare. In questo senso, un limite dell’AI potrebbe essere quello di non avere corporeità. Se l’intelligenza umana è così connessa all’esperienza del corpo, come potrebbe esistere un’intelligenza totalmente senza corpo?
Per concludere: abbiamo un corpo e una mente che ci permettono di vivere ogni giorno nel mondo compiendo tantissime scelte, più o meno consapevolmente. Poi ci sono le piante, organismi straordinariamente diversi rispetto agli animali, che non hanno un cervello eppure risolvono problemi, comunicano, hanno una vita sociale e molto probabilmente ci sopravviveranno, perché ogni giorno compiono scelte legate alla sopravvivenza della specie: usano l’intelligenza, appunto.
Una pianta vede con tutto il corpo, sente con tutto il corpo, respira con tutto il corpo, ragiona con tutto il corpo. [È vero che le piante sono intelligenti? La lezione di Stefano Mancuso | Lucy – Sulla cultura]
Su questo argomento è d’obbligo citare Stefano Mancuso, botanico, saggista e docente all’Università di Firenze, che ne parla diffusamente nel suo podcast Di sana pianta – Storie segrete del mondo vegetale e nei suoi libri.
Foto di Daniel Álvasd su Unsplash